Contaminazioni

SNAILS

snails_topHo preso a prestito il lavoro di Gianluca Quaglia come base per poter interpretare i suoi stimoli alla luce della giornata che stavamo celebrando e nell’ambito del contesto nel quale eravamo (Rete Rosa, la violenza domestica, l’8 marzo). L’opera di Gianluca mi è servita come spunto perché lui, grazie alla sua sensibilità di artista, con l’installazione montata e proposta ci ha consegnato una sua interpretazione del mondo femminile e della violenza domestica.
Ho osservato gli ospiti entrare oggi nelle stanze dell’istallazione. Sembravano entrare tutti come camminando sulle uova, certo bisognava fare attenzione a dove posare i piedi, però c’era un che di timore, come se stessero entrando nella casa di qualcuno, meglio, negli ambiti segreti dell’intimità della casa o dell’animo di qualcuno.
snails_2Le lumache, i gusci, che sono stati posti sulle foto nelle quali erano ritratte coppie nel giorno del loro marimonio a me hanno dato da subito un senso di inquietudine. Come lumache poste sulle foglie delle quali si nutrono. I gusci posti sulle foto mi hanno fatto pensare a vite consumate, si toglie una parte vitale e qui i gusci sono sugli occhi, sulla bocca, a divorare lentamente il volto e il corpo delle spose, in una lenta ma inesorabile consumazione e consunzione.
Una consunzione che poi passa a tutti gli oggetti della casa, agli oggetti di uso comune, tutto viene sgretolato, tutte le sicurezze, la sicurezza degli oggetti, i punti di riferimento saltano, diventano dei mostri divoranti. E poi, nell’installazione, erano stati posti dei frullatori contenenti gusci e che un timer faceva partire a caso. Una follia, un atto che si compie all’improvviso, il frullatore che scatta improvviso e disintegra le conchiglie, ne fa polvere.
Snails, lumache, per associazione ho subito pensato a Snakes, serpenti. Qualcosa che striscia e si insinua, in modo subdolo. La chiusura tra le pareti domestiche, il minare gli oggetti e l’autostima, qualcosa di viscido, molle, che seduce dapprima e, poi, divora, lega, impedisce il movimento minando nella propria autostima. Prima è qualcosa che si appoggia agli abiti, quasi distrattamente, poi arriva al corpo, alle mani, agli occhi, alla bocca e non fa più vedere, né sentire, né respirare. Copre tutto, divora tutto e disintegra.
Assonanza con Snake, il serpente che striscia e si insinua. Il guscio della lumaca che da protettivo, giorno dopo giorno, diventa ristretto, imprigionante, non fa uscire. Fa sentire senza protezione o, meglio, la protezione è solo là dentro. Là esisto e sono, fuori non c’è vita per me, il guscio va distrutto, per poter uscire e trovare aria, ossigeno, nuova energia vitale. Perché dentro il guscio si muore di asfissia, di violenza. Lo stare vicini che ne deriva è sotto l’egida della svalutazione identitaria. L’affermazione identitaria è sotto scacco. Immobilizzazione psichica. Vuoto del pensiero.
Il segreto familiare, il nascondere, la vergogna. Il tenere tra le mura domestiche. L’annichilimento della persona che finisce per non esistere più.
L’altro commette una effrazione quando noi non siamo più in grado di pensare l’intenzionalità che sottende le sue azioni. A causa del dolore, della paura, della fatica, dell’angoscia, del terrore, gli strumenti di pensiero che avrebbero forse permesso di coglierla sono momentaneamente fuori uso.
Il “pensiero della disperazione” è diverso dal “pensiero intelligente”.
I marchi sul corpo da nascondere perché sono da leggersi come insicurezza dell’involucro familiare. E se il celare è familiare, diventa anche generazionale, acquista una legittimità che diventa accettazione. E quindi con possibilità di poter essere replicata. Il senso di colpa trova ampio spazio, me lo merito, non ho fatto bene, una bassa autostima che fa sì che in qualche modo si dia per scontato che quello che accade è “meritato”.

Foto di Cristina Pajalunga
Foto di Cristina Pajalunga

Foto di Cristina Pajalunga
Foto di Cristina Pajalunga

Foto di Marcella Savino
Foto di Marcella Savino

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